
La moderna serialità prestata all'ornamento contemporaneo
La diffusione come costante
Da tempo ormai la produzione in serie, altamente industrializzata e “ottimizzata”, riguarda sempre più vasti settori.
Grazie alla produzione seriale, si può soddisfare, in maniera meccanica e massificata, una delle esigenze più caratteristiche della natura umana: quella di dare risposte sempre diverse a stimoli e bisogni sempre uguali. E’ la continua ricerca del nuovo, del differente che “assilla” in modo costante la nostra creatività. Una creatività che in epoca moderna si è prestata alle esigenze della produzione seriale, diventando fase progettuale, design, elemento oggi imprescindibile per l’individuazione e la riuscita commerciale di un bene immesso sul mercato; l’incontro-scontro tra arte e logica d’impresa.
Tra gli oggetti funzionali che, a partire dall’Ottocento, sono diventati sempre più permeabili al meccanismo seriale vi è sicuramente il gioiello.
Sappiamo bene come la differenza che intercorre tra il pezzo unico creato dall’orafo e il pezzo seriale ideato dal designer consista essenzialmente nella diversa modalità di produzione. Nel primo caso l’orafo realizza personalmente tutte le fasi esecutive dell’ornamento apportando, in corso d’opera, significative modifiche al progetto iniziale. Egli ha la possibilità di assecondare le inclinazioni momentanee. Nel secondo caso, invece, il momento creativo si concentra nella sola fase iniziale, quella della progettazione, durante la quale si cerca di soddisfare, contemporaneamente, le rigide clausole della catena produttiva e le continue richieste di nuovi paradigmi di appeal estetico.
Non voglio soffermarmi oltre sulla produzione seriale di tipo industriale o semiartigianale delle note aziende di gioielleria, per concentrarmi piuttosto sull’esperienza della serialità, della riproducibilità continua, nell’ambito del gioiello di ricerca; occasione unica, questa, in cui grandi creativi e valenti artisti “adattano” il proprio linguaggio alle esigenze di oggetti-ornamento più volte riproducibili. Mi riferisco, in particolar modo, all’esperienza milanese della Gem di Giancarlo Montebello, o a quella internazionale della collezione (inizialmente promossa da Gijs Bakker insieme a Marijke Vallanzasca) “Chi ha paura…?”; penso ancora alle serie proposte da Cleto Munari, alle continue edizioni delle composizioni assemblate di Carla Riccoboni…
Il modello comportamentale, l’atteggiamento mentale cui “costringe” la serialità sembrerebbe non adattarsi all’imprevedibilità istintiva propria dell’atto creativo, alla continua sorpresa del gesto inatteso dell’invenzione, alla libertà progettuale propria dell’arte.
La serialità implica infatti la ripetizione, la rassicurazione “intrigante” della continuità, la conferma decisa del già accaduto, del già visto: la ripetizione come movimento ritmico, insidioso che addormenta per un attimo i nostri sensi ricettori. La serie non innesca alcun cambiamento rispetto ad un punto di partenza dai contorni ben definiti e facilmente duplicabili; è l’uguale a se stesso che si ripete, e perciò si diffonde, in cerchi concentrici, come le onde create da un sasso gettato nell’acqua.
Già, diffondere, al pari di far conoscere, trasmettere, attraversare dimensioni spazio-temporali diverse per affermarsi nell’immaginario collettivo, nel pensiero comune o nell’uso reale: questo è lo scopo dichiarato della serialità.
Un compito che essa mantiene inalterato anche nel momento in cui viene prestata al mondo dell’oreficeria contemporanea: diffondere cultura e creatività applicata al gioiello come un classico della letteratura aperto su un’unica pagina personalmente interpretabile.
Tutto ciò mi è apparso chiaro nel momento in cui ho visto indossato Little Finger di Bakker (uno dei classici della collezione “Chi ha paura…?”) nella vita di tutti i giorni, al tavolo di un bar.
Il gioiello riprodotto in serie, rispetto alla creazione unica, non solo prevede una differente modalità di progettazione e di realizzazione, ma anche raggiunge la piena soddisfazione del principio di diffusione.
Nell’ambito della ricerca orafa contemporanea, il momento “ideativo” coincide sempre con un intervallo di pura genialità inventiva in cui l’ispirazione, la preparazione tecnica, la creatività formale e lo slancio comunicativo si intrecciano creando una maglia stretta di significati che si completano a vicenda. È come se, nel momento “dell’ascolto”, preludio fondamentale all’ideazione, l’artista e il designer concentrassero, in un movimento centripeto, a spirale, tutto ciò che intendono trasmettere.
Una volta realizzato il pezzo ornamentale, però, la concentrazione di tale energia creativa si snoda in un flusso ideale che si libera in modo diverso a seconda che il gioiello sia un esemplare unico o venga riprodotto in serie continue e autoreferenziali.
L’esemplare unico trattiene la sua “forza” entro il limite spazio-temporale della persona che lo indossa, mentre l’ornamento realizzato in serie diffonde e divide il suo valore in tante parti quante sono le volte in cui viene duplicato, risentendone in termini di intensità di segnale a mano a mano che viene editato.
Per concludere si potrebbe dire che se il pezzo unico ha il potere di ispirare come un verso poetico, in quanto spettacolo reale del potere immaginativo, l’ornamento realizzato in serie, invece, data la sua più ampia diffusione, ha il potere di educare ai nuovi valori estetici e materiali, e nel momento in cui esso stesso innescherà il meccanismo del riconoscimento e non più quello della sorpresa, avrà raggiunto il suo obiettivo.
Elena Masia, storica dell’arte, vive a Padova.
Photo: Gijs Bakker - Little Finger Ring