
Ricette preziose - dal gioiello al pane
Ovvero il concetto di artigianalità
L’uscita di un libro è sempre un’occasione stimolante per conoscere e approfondire meglio il mondo che ci circonda, e se poi, l’argomento trattato è la cucina, allora il gioco oltre che utile diventa anche appetitoso.
“Ricette preziose – dal gioiello al pane”, questo il titolo di un interessantissimo libro, scritto per il momento solo in italiano, dove si tenta un ardito parallelo tra cucina e oreficeria.
Apparentemente mondi lontani, che a prima vista sembrano non avere nulla in comune.
In realtà, ad uno sguardo più attento, si scopre come entrambe, condividano la stessa “Filosofia del fare”, tipica per altro di tutte le attività artigianali.
In altre parole, gli autori, (Lucia Sabatini Scalmati, Fausto Maria Franchi e Pier Luigi Piccari) trasformano la cucina, argomento che tutti noi più o meno conosciamo, o di cui siamo diventati “grandi esperti” grazie a trasmissioni come MASTER CHEF, quale metafora per ragionare sul più vasto concetto di Artigianalità, sul suo significato e su cosa rappresenta oggi nella nostra vita di tutti i giorni.
Il punto di partenza, non poteva che essere la cucina italiana, così ricca sia di storia che di ricette, da renderla una pietra di paragone ideale per questo esperimento.
Nelle sue innumerevoli differenze geografiche, l’Italia rappresenta un puzzle di produzioni agroalimentari infinite. Dal mare alla montagna, ogni valle ha prodotto un microcosmo alimentare unico, ma al contempo, ciò che accomuna tutto il paese è la sua origine povera e contadina.
Per questo, gli autori si sono concentrati sulla ricerca di ricette antiche a base di pane, elemento povero per eccellenza, che ha costituito l'ingrediente fondamentale in tutta la cucina tradizionale italiana.
Ma non solo, ogni ricetta, porta con se un elemento storico, un aneddoto legato al vissuto di una popolo, insomma la cucina diventa strumento di conoscenza sociale e antropologica.
Similarmente, le ricette orafe, così come quelle del pancotto sono tutte di provenienza popolare, tramandate spesso oralmente, le cui origini affondano in antiche tradizioni familiari.
Per esempio, la tecnica della foglia d’oro, ottenuta battendo a martello una blocco d’oro puro, fino ad ottenere una lastra spessa la metà di un foglio di carta, fino agli anni 90 era praticata a livello artigianale solamente in due laboratori in tutto il mondo. Uno a Venezia e uno a Lisbona in Portogallo. Quest’ultimo tenuto da una ragazza, erede di una famiglia di battitori risalente al 1700.
Quello che emerge chiaro da questo bizzarro confronto, è che tutte le attività artigianali condivido lo stesso “approccio al fare”, indipendentemente se si usa la farina, la creta o l’oro.
Ciò che unisce queste attività manuali, è dunque lo stesso “concetto di artigianalità”.
Ma per spiegarlo in maniera semplice e comprensiva, dobbiamo tornare in cucina.
Immaginatevi di essere in vacanza, per esempio in Italia, quale sarebbero le prime cose che fareste appena arrivati?
Ovviamente la scelta di un albergo, ma subito dopo la ricerca di una bel ristorante, un buon posticino dove andare a degustare le specialità del posto.
Bene! Questa voglia di cibo, non nasce solo da una esigenza fisica, ma è il desiderio di conoscere le usanze e i modi di vita di quel territorio. In altre parole la cucina diventa memoria di un popolo.
Oppure
Quando vogliamo incontrare degli amici, e trascorrere una bella serata in loro compagnia, o meglio se siamo innamorati e vogliamo trovare un’occasione per incontrare la persona amata, cosa facciamo? Li invitiamo a cena.
Il cibo, in questo caso diventa condivisione di un momento, cioè espressione di un tempo preciso.
Teniamo a mente questi due concetti, Memoria e Tempo.
Roland Barthes (saggista, critico letterario, francese) afferma che “l’assunzione del cibo è, dovunque e in ogni tempo, un atto sociale. Questa socialità alimentare, può assumere molte forme, molte sfumature, a seconda della società e delle epoche”.
In altre parole, la cucina, diventa espressione di una fare popolare, un linguaggio nel quale le società traducono inconsciamente le proprie strutture e le proprie contraddizioni.
Così come il cibo, anche le altre attività artigianali, con sfumature più o meno diverse, non possono essere separate dalla vita quotidiana di un popolo.
Non è un caso, che la parola greca che traduce il termine artigiano è demiourgus, un composto di due parole, che unisce l’idea di pubblico (demios: appartenente al popolo) e di produzione (ergon: opera, lavoro).
Ed è questo, forse, l’aspetto più affascinante del lavoro artigianale , questo suo rapporto intimo con la vita vissuta della gente. Tutti noi utilizziamo oggetti per le nostre esigenze quotidiane, dal preparare un pasto, al vestirsi, adornarsi, utilizzare un computer. Gli oggetti raccontano la nostra vita e a volte anche la nostra morte.
In un bel catalogo dedicato ai gioielli ritrovati ad “Oplontis”, sito archeologico tra Pompei ed Ercolano, si racconta come questi monili furono rinvenuti all’interno di sacchette di cuoio strette tra le mani della gente che nella fuga improvvisa a causa dell’eruzione del Vesuvio, cercava di raccogliere frettolosamente le cose più care.
In un interessante esperimento fatto dagli autori di un libro imperdibile almeno per chi si occupa di design “The Meaning of Things”, fu chiesto, ad un campione di persone, di mostrare quali oggetti della casa considerassero “speciali”. Emerse che gli oggetti scelti furono quelli con ricordi o associazioni particolari, quelli che contribuivano a evocare una sensazione intima.
Tutte le cose ritenute “speciali”, richiamavano alla mente qualche storia.
Questo, ci spiega che in realtà noi non siamo affezionati alle cose in sé, ma alle relazioni, ai significati e ai sentimenti che le cose rappresentano.
Un esempio molto comune a tutti, sono i souvenir. Spesso brutti, quasi sempre banali, ma dal fortissimo impatto emotivo perché espressione di una intima memoria personale.
Caratteristica questa che chi lavora nel design conosce molto bene e che va sotto il nome di “Emotional design”.
Oggi, il focus dell’acquisto non è più tanto il possesso dell’oggetto, quanto il suo utilizzo per una specifica esperienza.
L’artigianato, in questo nuovo contesto produttivo, se da un lato ne risulta indebolito, per la sua oggettiva difficoltà a smaterializzarsi, dall’altra, si rafforza nel suo ruolo di custode di una memoria collettiva e personale altrimenti destinata all’oblio.
Come vi dicevo, l’altra parola da tenere a mente è il “Tempo”.
L’artigianato è l’espressione del tempo.
Inteso qui, sia come “Tempo oggettivo” cioè ordine misurabile del trascorrere delle cose, che come “Tempo soggettivo” ossia una propria percezione personale del tempo.
Tutti noi, quando visitiamo un museo, rimaniamo spesso affascinati più dalla maestria e dal tempo necessari a produrre i manufatti esposti, che dalla loro bellezza.
Paragonati al costo orario della nostra manodopera, mesi, anni, di lavoro su un singolo pezzo, risultano semplicemente inconcepibili per un manufatto contemporaneo.
Al riguardo c’è un designer italiano, Giovanni Corvaja, che ha fatto del tempo la sua più grande ricchezza. E’ sempre molto interessante vedere la reazione della gente quando apprende che per un certo gioiello, l’artista ha impiegato sei mesi, un anno, due anni di lavoro.
Nei loro volti si percepisce lo stupore e l’ammirazione per quell’opera, e il fatto che sia stata realizzata in oro o platino passa in secondo piano. La vera preziosità, per loro, diventa il tempo.
Così come in cucina, il tempo è una componente imprescindibile della ricetta, pensiamo ai tempi di cottura, così nell’oreficeria il tempo è determinate per la riuscita di una tecnica, pensiamo al breve intervallo di tempo che intercorre tra il punto di fusione delle sferette d’oro, nella granulazione e la fusione del rame, quale saldante. Pochi secondi che determinano la riuscita o il fallimento.
Nell’artigianato, il “Tempo” è anche percepito come tempo necessario al apprendimento.
Per imparare una tecnica, ci vuole tempo.
Lo sviluppo delle abilità tecniche è una capacità ottenuta con la ripetizione di un esercizio e il tempo dedicato ad ogni singola seduta.
Le ricette orafe, così come in cucina, richiedono spesso una lunga preparazione dei loro ingredienti.
Nella tecnica dello smalto, per esempio, è necessario polverizzare il vetro, lavarlo più e più volte, passarlo al setaccio, pulire l’oggetto da smaltare, sgrassarlo, smaltarlo, controsmaltarlo ed in fine smaltarlo di nuovo una o più volte.
Procedimenti lunghi, dove il tempo, così come lo intendiamo noi, con il ritmo di oggi, rallenta, quasi si ferma.
Oggi, occupati come siamo a consumare pranzi frettolosi (easy lunch, snack, pizza, kebab) o incantati da piatti scintillanti della nouvelle cousine, dove c’è molto nel menu, poco sul piatto e tutto sul conto ci rimane ben poco tempo, per gustare il piacere della preparazione, il tempo del fare, che ci aiuta a capire ed entrare in sintonia con quello che mangiamo o vediamo.
Come nel gioiello, un buon piatto reclama il suo tempo di lettura, trasmette sapori, profumi, appaga l’occhio e fa desiderare. Crea uno stato d’animo, dà il tempo alle immagini di formarsi e di essere metabolizzate.
Per concludere, possiamo dire che gli autori di questo libro, sono riusciti in maniera semplice, originale e intelligente ha far emergere attraverso questo inusuale confronto, il significato più recondito del “creare con le mani”, indipendentemente dall'oggetto, sia esso pietanza o manufatto.
Chiudo, citando una bella frase di Kant, che più di tante spiegazioni, rappresenta plasticamente questa nostra “filosofia del fare”: La mano è la finestra della mente.
Ricette Preziose – dal gioiello al pane: Fausto Maria Franchi, Pier Luigi Piccari, Lucia Sabatini Scalmati – 2014 / Pre informazioni: 06 687 1558